"I giorni di Bahia sembrano giorni di festa"
Sono le sei, e
il sole è appena tramontato dietro l'isola di Itaparica. La temperatura è
di ventisei gradi, tra poco pioverà. È una tipica serata invernale, a
Salvador. Siamo alla fine del mese, e in giro per il Pelourinho, il
centro vecchio della città, restano gli addobbi della festa di San Juan
dell'altroieri. La gente sta cominciando a riaffollare i vicoli, a
quest'ora, e musiche e caipirinha andranno avanti fino a notte fonda.
Anche se i soldi in questi giorni scarseggiano, e tutto sarà molto più
animato dalla settimana prossima, arrivate le paghe. Al Pelourinho ogni
sera è di festa, ma la festa ha una sua gerarchia di vivacità: viene prima
di tutto il carnevale (altro che quello di Rio, dicono gli esperti, quello
vero è il carnevale di Bahia); poi il martedì sera, che è una specie di
sabato supplementare, poi il sabato e la domenica. E la prima settimana
del mese più delle successive, a scendere. Un lunedì 25 può essere quasi
tranquillo, a meno non ci sia una qualche festa particolare, come San
Joao. "Al Corredor de Vitória, nel cuore del quartiere più elegante
della città" I giornali di oggi dicono che Jorge Amado, lo
scrittore di Bahia (Bahia è la regione, ma anche Salvador viene chiamata
spesso Bahia) più famoso e illustre, ha pronunciato le prime parole da
quando pochi giorni fa è stato ricoverato all'ospedale Aliança. Amado,
ottantanovenne, ha chiesto "Dov'è Zelia?". Zélia Gattai è sua moglie.
"Sarebbe meglio non aver letto Amado, quando si arriva a Bahia", dicono
qui. Dicono che Amado abbia scritto dei libri bellissimi, ma che abbia un
po' addolcito tensioni e guai di questi posti: "soprattutto per quanto
riguarda bianchi e neri". In Brasile, ormai da diversi anni si discute
criticamente di quello che viene chiamato "il mito" del Brasile non
razzista. Se è vero che tra i paesi dove convivono bianchi e neri, questo
è quello in cui la mescolanza di razze è più consueta e visibile, e in cui
un razzismo spiccio e vistoso è meno presente, il risultato è comunque che
i ricchi, i potenti, le persone di successo, sono sempre i bianchi ("i
neri in Brasile salgono la scala sociale solo attraverso il calcio o la
musica"). I neri sono il 7% della popolazione e i mulatti il 37%. Lo
stipendio medio di un nero è pari al 41% di quello di un bianco e le
carceri ospitano per l'80% neri e mulatti. Bahia è la città più nera
del paese, la prima dove i portoghesi cominciarono a sbarcare schiavi
africani quattro secoli fa, quando la città fu la prima capitale del
Brasile. Ed è la prima cosa che si nota, in giro, insieme al fatto che è
una delle poche città nere (80% degli abitanti) del consumismo
occidentale, assieme a quelle del Sudafrica: una città di neri e di Nike,
per chi se le può permettere. Nel Pelourinho, tutti neri, nelle favelas,
tutti neri. A Campo Grande e Victoria, i due quartieri residenziali più
eleganti, tutti bianchi, fuorché i portinai. All'università, più bianchi
che neri. Ma secoli di mito antirazzista, e di carnevale, allegria,
pigrizia e pazienza hanno intorpidito ogni movimento di rivendicazione
nero, che solo negli ultimi tempi ha cominciato ad ardere un po'. Sui
giornali, oggi, c'è anche la storia del ragazzino di sei anni ucciso
durante una sparatoria della polizia con un rapinatore. Secondo la madre,
anche lei ferita, a sparar loro addosso sarebbero stati gli agenti. Tra
qualche giorno un'inchiesta stabilirà di no. Il livello di fiducia nella
polizia qui è bassissimo e alta la sensazione della sua corruzione.
Stasera, altre tre persone moriranno violentemente, e così se ne vanno le
giornate dei quotidiani locali. Ha fatto buio presto, un po' come tutto
l'anno, perché Bahia sta tra il tropico e l'equatore, e le stagioni si
assomigliano. Anche se questo da venticinque gradi viene ritenuto inverno,
c'è poca gente sulle spiagge e piove più spesso. Ma stasera è anche più
buio, in giro, e chiedo perché. "Razionamento", mi spiegano. C'è una crisi
energetica più grave di quella della California, in tutto il paese, e da
qualche tempo il governo chiede a tutti di risparmiare la corrente
elettrica. I locali spengono tutte le luci superflue, le strade sono meno
illuminate (bello che la guida turistica Rough dica così: "la città ha
un'elettricità che si sente appena si arriva"). "Pedro Proiettile
sta pensando che non esiste niente di meglio che camminare così, a
casaccio, per le strade di Bahia". Passo vicino all'ospedale
Aliança, dove stanotte è stato ricoverato per dolori al petto anche il
bahiano più famoso in città, più di Amado, di Caetano Veloso, di Gal Costa
e Gilberto Gil. Si chiama Antonio Carlos Magalhaes, ha settantacinque anni
e ha governato Bahia per gli ultimi trent'anni del secolo. Era senatore
fino alla settimana scorsa, quando si è dimesso per uno scandalo relativo
alla violata segretezza del voto al Senato. Secondo molti il politico più
potente del paese (più del presidente Cardoso), ACM come lo chiamano
tutti - è un mito cittadino, nel bene e soprattutto nel male, che si
riassume in una battuta di compromesso tra i suoi detrattori e i suoi
sostenitori: "ruba ma fa". Altri, meno ruvidi, dicono "fa statue invece di
fogne". Che rubi, lo pensano in molti, che abbia costruito una struttura
di potere che fa capo solo a lui da trent'anni è cosa nota, che abbia
fatto a Bahia molte cose per assicurarsi un perenne successo di immagine e
per rendere la città più gradevole ai ricchi e ai turisti è visibile
quanto il fatto che non abbia fatto mai niente per i disastri sociali
della città e della regione, e per i poveri. Tra i quali neanche a
farlo apposta ACM va fortissimo. In Brasile, dice una statistica su
"A Tarde" di oggi (se ne imparano, dai giornali), il 34% delle persone
vive sotto la soglia di povertà. Uno su tre. Solo che poi c'è un altro 14%
che vive sotto la soglia "di indigenza". In tutto, uno su due sta sotto.
Nel nordest, la regione di Bahia, di più. Salvador ha il più alto tasso di
disoccupazione tra le grandi città del paese. Magalhaesh ("Caetano
pensa di essere Dio. ACM ne è sicuro", dicono anche) ha avuto in vita sua
un solo progetto per cedere il potere: suo figlio Luis Eduardo, allevato
per diventare presidente. Ma a Luis Eduardo che era un po' più
liberale e ragionevole di suo padre - venne un colpo tre anni fa ("con
quel padre", dicono), col risultato che oggi tutta Salvador è una
successione di aeroporti, avenide e monumenti dedicate al Deputado Luis
Eduardo Magalhaesh. Tra le opere cittadine di ACM, ricchi e turisti ne
apprezzano in particolare due. Una è il Dique do Tororò, un grazioso e
allungato laghetto artificiale, circondato da palme e prati curati da una
trentina di giardinieri e guardato da altrettanti agenti di sicurezza. Ci
sono dei ficus gonfi e alti diecine di metri e carichi di foglie, liane,
rami intrecciati, di quelli che da noi se ti cresce una fogliolina su
quello del soggiorno gli amici ti dicono ma che bravo. A Milano, Albertini
lo avrebbero fatto granduca, altro che sindaco, per una cosa così. Il
dique e la sua pista da jogging, e il ristorante con la terrazza, sono
assediati da un carosello di automobili e dai circostanti quartieri di
orrendi grattacieli malconci e case squinternate, ma non si può avere
tutto. E poi c'è il Pelhourinho. "La pace della notte di Bahia non
abita i cuori dei Capitani della spiaggia" Il vecchio centro della
città, arrampicato su una collina che si raggiunge per tortuose salite o
con un pittoresco "elevador", vanto dei dépliants turistici, dieci anni fa
era come il resto della città: ruderi, macerie e architetture coloniali di
spettacolare bellezza assai sbrindellate. Vicoli bui sconsigliati. Greggi
di pecore in giro. C'è chi pensa che fosse molto più bello, allora. Ma è
difficile non apprezzare la zuccherosa cascata di facciate colorate,
insegne di legno, chiese barocche restaurate, azzurre, arancio, gonfie
d'oro, gli acciottolati, i baretti - pur con quel che contrastano con il
resto della città - in cui il Pelourinho è stato trasformato da una
diffusa e superficiale operazione di restauro ad uso turistico. Con
guarnizione di una presenza di polizia del tutto inconsueta. Salvador è
un posto di favelas e cybercafé: ha due milioni e mezzo di abitanti, e a
ogni italiano che ci arriva ricorda Napoli, ma con un di più di tutto. Ha
il suo golfo, ha la città che gli sale in fronte, e anche il sole che
tramonta sul mare, grazie al fatto di essere rivolta a ovest sulla grande
baia de Todos o Santos. Ha la sua Mergellina, in fondo a sinistra, che si
chiama Ribeira, dove il tramonto è ancora più bello e le acarajé una
sorta di supplì portato alle sue estreme conseguenze - sostituiscono i
taralli. Salvador ha le sue spiagge, dove i ragazzini giocano a pallone
(come vuole il cliché, i ragazzini brasiliani giocano a pallone tutto il
tempo e ovunque, è l'unico posto al mondo dove ho visto giocare a pallone
su una scalinata) o provano figure di capoeira. Salvador è un posto
meraviglioso - bianco di spiagge e dune, e verde di prati, palme e piante
di ogni ricchezza che un'orrenda edificazione moderna di torri e
case popolari ha cercato di rovinare. Salvo poche belle ville, i quartieri
dei ricchi hanno palazzi altrettanto orribili, ma tenuti meglio e con il
portinaio. In giro per la città, i ragazzi neri e belli vanno in giro
senza un soldo in tasca, e spesso anche senza le tasche, seminudi, e tutti
con le infradito che da noi sono tornate di moda e qui non sono mai
passate: le uniche scarpe di quelli che non hanno le scarpe. C'è uno
spettacolare mercato degno dei migliori racconti orientali, dove le
bancarelle si accatastano l'una addosso all'altra vendendo qualsiasi cosa:
noci di cocco, farina di manioca, zenzero, zolfo, papaya, galline da
sacrificio, trappole per topi, barbabietole, fionde, frutti di cacao,
ananassi, capre, pentole, gamberi secchi, terracotte, e così per file e
file. Un signore piccolino e sorridente, all'ingresso, si fa avanti con
una carriola: non vuole vendervela, è la versione baiana del carrello
dell'Esselunga. Lui vi segue e vi porta la spesa per un paio di Reais. C'è
gente che gioca a domino, gente che mangia un piatto di riso e fagioli,
ragazzi che setacciano legumi misteriosi. Si commercia in economie di
scala improbabili: un banco con quattro manghi, un signore che vende
antenne da tv, ne ha sette. Un meccanico lungo la avenida do Centenario si
qualifica come "O rey dos radiadores". Ma ci sono anche i centri
commerciali, gli "shopping", dove proliferano i negozi di abbigliamento da
surf e certe signore hanno un po' paura delle scale
mobili. "All'inizio della serata ci fu un rovescio
d'acqua" Il tassista accelera, e scansa un grosso serpente
spiaccicato sull'asfalto. Per le strade di Salvador poi ci sono le buche
più grosse del mondo. Il tassista è abbattuto perché ieri sera il Bahia ha
perso due a zero dal Flamengo, giocandosi la qualificazione alla Coppa, e
vuole andare a casa perché stasera, come tutte le sere, la rete Globo
manda in onda la telenovela "Porto dos Milagros", ispirata un po' a Amado,
un po' ad altro, compreso un personaggio in cui tutti riconoscono una
parodia di ACM. Le telenovele impazzano, come si sa: quello che da noi si
trascura è che in un posto con una scolarizzazione così scadente le
telenovele siano spesso ben fatte e il solo canale di trasmissione di
informazioni e cultura per gran parte del paese. Quando scendo dal taxi
(il guidatore mi saluta con il pollice alzato, come fanno qui) sta
cominciando a piovere forte, secondo me. Secondo lui no. Qui quando piove,
piove. Un nubifragio, la città si blocca, le strade si allagano, le
baracche crollano. Le case sono state costruite sulla cima dei pendii, o a
valle, e le baracche hanno riempito lo spazio, sulle discese ardite: e
quando piove precipitano. Ma ora tutti fanno come se non piovesse nemmeno,
e infatti smette quasi subito. Sono in un bar di Rio Vermelho,
affollato di giovani bianchi. Parlo di Napoli con una ragazza di qui, lei
c'è stata e l'ha trovata "un po' caotica". E così smonta ogni mia
presunzione di aver capito qualcosa della sua città. Due bambini neri
seminudi si avvicinano al nostro tavolo con un sorriso furbetto e
questuante. Allungano verso di noi dei bicchieri di carta, come quelli in
cui i mendicanti del nostro mondo raccolgono qualche moneta agli angoli
delle strade, e chiedono una cosa meravigliosa: "ci dai un po' della tua
coca cola?".
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